E anche questo è successo. O almeno se ne è parlato, e tanto: di love story – vere o presunte – tra donne e sacerdoti sono ormai piene le cronache locali e nazionali, ma stavolta è toccato al nostro villaggio.

L’ormai ben nota ‘confessione eoliana’ di una donna messinese- consentiteci di scimmiottare la rapida e grossolana ricerca dei doppi sensi ad effetto che ormai spopola sulla stampa – ci coinvolge in pieno, ci sconvolge e ci ferisce anche un po’ nell’orgoglio con le diverse pagine dei notiziari online che chiamano in causa Mili San Pietro come luogo del (presunto) misfatto. E allora giù con le parole e le ricostruzioni di fatti che, in realtà, apprendiamo soltanto dalla stampa, giù con i commenti e le precisazioni, per dire e ribadire ai fantasiosi giornalisti di tante testate che i fatti in questione, se reali (e questo è da comprovare), non hanno mai avuto come teatro il nostro villaggio.

Ma c’è un lato più nascosto, una motivazione meno visibile ma forse più vera in questo “chiudersi a riccio”: la volontà di dissociarsi da ciò che sta accadendo, di isolarne il protagonista a noi più vicino, di allontanarlo anche idealmente dalla nostra comunità, dato che fisicamente ne è lontano già da mesi. Forse questa è una delle facce di una medaglia in cui, dall’altra parte, sta anche un certo compiacimento per la “bravata del prete” ed i particolari pruriginosi che si risolvono in ignobili ridicolizzazioni del presunto protagonista.

Una gogna mediatica a cui, noi miloti, non possiamo contribuire. Se lo facessimo, vorrebbe dire che avremmo dimenticato i suoi cinque anni di servizio generoso, umile, discreto, attento. Un servizio verso il quale non possiamo non dimostrare la nostra gratitudine attraverso il silenzio, il rispetto e la preghiera.

Sebastiano Busà

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